giovedì 5 febbraio 2015

Perché Luca Toni non è un traditore

Strano tipo il tifoso di calcio. Capace di indignarsi per piccole cose e rimanere indifferente a tanti altri avvenimenti più importanti. Ma d’altronde si sa, il tifo è irrazionale per definizione e segue traiettorie non facilmente codificabili con gli occhi della razionalità.

Ma se c’è un’abitudine che mi ha sempre lasciato perplesso è quella del sentirsi traditi quando un giocatore particolarmente amato cambia squadra. E’ il caso di Luca Toni a Palermo. Sono passati ormai 10 anni dalla sua cessione alla Fiorentina ma ogni volta il suo ritorno al Barbera si risolve in un corollario di fischi da parte di tutto lo stadio. Così come puntualmente è accaduto domenica durante Palermo-Verona.

Strano a dirsi. In fondo parliamo del centravanti del ritorno in serie A nel 2004 dopo ben 31 anni di astinenza. Un’enormità per una piazza grande come quella palermitana. Lo straordinario terminale di un undici che vedeva in campo l’estro di Lamberto Zauli, le geometrie euclidee di Eugenio Corini, insieme alla Maginot difensiva formata da Biava, Atzori, dal numero uno Berti e dal futuro campione del Mondo Fabio Grosso.

Un bomber capace di segnare ben 50 reti in 80 partite di campionato, alla media di 0,63 goal a partita. Numeri straordinari. Così come fuori dall’ordinario sono i fischi dei tifosi rosanero. Questi ultimi imputano al campione modenese di averli traditi, scegliendo di andare alla Fiorentina per guadagnare di più nonostante i Viola di allora fossero una squadra dalle medesime ambizioni rispetto a quelle dei rosanero.

Inoltre, per molti dei supporter cosa ancora più grave, Toni non avrebbe mai speso parole di ringraziamento verso i sostenitori che tanto lo hanno amato.

Partiamo dal presupposto che non sta scritto da nessuna parte che un calciatore, al momento dell’addio a una squadra, debba per forza ringraziare i tifosi che lo hanno sostenuto. E’ naturale che se ciò avviene è sicuramente meraviglioso e cementifica un rapporto che rimane inscindibile nel tempo. Ma qualora questo non accada, non riesco davvero a comprendere i motivi della delusione. In fondo stiamo parlando di calciatori professionisti, i quali badano soprattutto alla propria carriera. Così come farebbe chiunque al posto suo. Toni, poi, era a Palermo da appena due anni. Non proprio una bandiera quindi. Ma di sicuro un calciatore che ha dato tanto alla causa rosanero e ha segnato un biennio indimenticabile per tutti i tifosi. 

Ma il tifoso palermitano in particolare, e italiano in generale, è estremamente permaloso. Capace di accendersi per una presunta mancanza di rispetto al momento dei saluti, ma altrettanto bravo a passare sopra alcune frasi davvero terribili come quelle pronunciate da Fabrizio Miccoli nei riguardi del giudice Giovanni Falcone. Quest’ultimo continua a rimanere l’idolo indiscusso della tifoseria rosanero, o comunque di gran parte di essa, nonostante parole che lo avrebbero dovuto condannare all’oblio. Insomma, grazie per tutto ma con quelle stupidaggini hai cancellato quanto fatto di buono. 

E invece no. I fischi, ingenerosi, vengono riservati al solo Luca Toni, colpevole di essere andato in una squadra dalla storia gloriosa come la Fiorentina, alla luce di quanto accaduto successivamente dimostratasi nettamente superiore, per ambizioni e rendimento, a quel Palermo. Solo gli effetti devastanti di Calciopoli non permisero ai Viola di conquistare per due anni consecutivi la qualificazione alla Champions League. 

Aggiungiamo a questo che il giocatore non ha mai fatto mancare le sue parole di apprezzamento a Palermo città e ai suoi tifosi. Basta ascoltare questa simpatica dichiarazione rilasciata ai microfoni di Fiorello e Baldini a Viva Radio 2, proprio pochi mesi dopo la cessione. O come dichiarato ai taccuini della Gazzetta dello Sport in occasione del suo ritorno in Sicilia nell’ottobre del 2005 da centravanti azzurro. Ma al palermitano non basta. Chissà cosa avrebbe voluto. Forse i lacrimoni, magari una pagina di giornale con tanto di lettera sul primo quotidiano cittadino. Insomma, una bella aria da melodramma.

Una bella dose di provincialismo se si pensa a quanto accaduto recentemente in Inghilterra. Dove Frank Lampard, forse il più grande giocatore di sempre della storia del Chelsea, è potuto tornare tranquillamente da avversario a Stamford Bridge tra gli applausi scroscianti dei suoi ex tifosi. E parliamo di un giocatore da 211 reti in 648 partite totali con i Blues. Miglior marcatore e numero uno nelle presenze complessive in 13 anni di onorato servizio. Di colui che sollevò da capitano la tanto agognata Champions League nel 2012 oltre che protagonista nelle vittorie di 3 Premier League, 4 Coppe d’Inghilterra, 2 Coppe di Lega, 2 Community Shield, e 1 Europa League.

A Londra qualche protesta si è sollevata al momento dell’ufficialità del suo passaggio al Manchester City ma tutto si è limitato a qualche riga sul web. Al ritorno a casa il giocatore è stato osannato come meritava. 
Luca Toni questa possibilità a Palermo non l’avrà mai. E tutto questo rimane inspiegabile. E in fondo mi dispiace per il tifoso rosanero, incapace di godersi anche quanto di bello gli tocca in sorte.

giovedì 29 gennaio 2015

Perché scriviamo?

Perché scriviamo?

Scriviamo per descrivere realtà che ci circondano
per raccontarci storie che, anche se non ci appartengono, fanno comunque parte di noi
per scarabocchiare situazioni che non esistono ancora e che probabilmente non esisteranno mai se non nelle nostre righe.

Scriviamo per mettere ordine a pensieri disordinati
per dare forma compiuta ad appunti caotici
per plasmare le inquietudini quotidiane che ci accompagnano
per lasciare traccia di noi quando non ci saremo più
per scacciare via l'oblio e urlare la nostra voce
perché sentiamo l'urgenza, il bisogno di fissare qualcosa che altrimenti andrebbe perduto per sempre.

Scriviamo perché la scrittura può diventare arte, scultura pittura e musica allo stesso tempo
perché ci emoziona scegliere la parola giusta ed incastrarla in combinazioni di altri vocaboli
perché ci permette di fermarci a riflettere senza sentirci in colpa
e di coltivare parecchie ore al giorno la solitudine in modo che questa non sia inutile o dannosa.

Scriviamo perché ci nutriamo di sogni
per dare un senso al nostro essere uomini
perché altrimenti saremmo incapaci di parlare e dire cose sensate
perché abbiamo paura di vivere e ci illudiamo che la scrittura ci renda unici, vivi e liberi
per provare a conquistare il nostro spazio.

Scriviamo perché il nostro non sia tempo sprecato
perché siamo inguaribilmente narcisi e amiamo che qualcuno ci legga
perché non siamo mai pienamente soddisfatti
perché non sappiamo fare altro
perché non abbiamo niente di meglio da fare.

Voi perché scrivete?

venerdì 16 gennaio 2015

Guerre di religione?

Partire con una premessa non è mai il modo migliore per iniziare a buttar giù un pezzo. Però mi sembra doveroso e fondamentale farlo in questo caso. Quello che andrete a leggere non è un post che prova a dare delle risposte. In questo scritto pongo delle domande. Perché solo attraverso la riproposizione continua di dubbi e questioni ci si può avvicinare alla sostanza delle cose.

L'attentato al giornale satirico francese Charlie Hebdo ha ripresentato con ulteriore violenza il problema del terrorismo islamico e della polveriera mediorientale. In questi giorni in cui "tutti siamo Charlie" e nei quali venti gelidi di guerra alitano tra l'Europa e il Medio Oriente, tanti interrogativi continuano a sorgere.

Si è tornati nuovamente a parlare di guerre di religione, di fanatismo islamico, di due mondi contrapposti che non potranno mai convivere pacificamente perché troppo diverse le basi su cui si fondano le rispettive società.

Ma siamo sicuri che sia solo questo il problema? In fondo la storia ci insegna che dietro il paravento delle religioni si perpetrano crimini che nulla hanno a vedere con queste ultime. Analizzando quanto accade in tutto il Medio Oriente sono diverse le contraddizioni che saltano all'occhio. Prima di tutto giova ricordare che il problema del fondamentalismo islamico nasce proprio in questa particolare zona del mondo. L'Isis, lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante, che da mesi imperversa in Iraq seminando il terrore tra gli abitanti locali è solo l'ultima delle sue incarnazioni. Un gruppo di fanatici che, in base alle intenzioni rese manifeste, vuole impiantare nella zona un califfato a forte connotazione integralista.

Si tratta di musulmani sunniti, ovvero legati a quella che è la corrente maggioritaria dell'Islam, che continuano a seguire la sunna (cioè la tradizione) del Profeta Maometto. A contrapporsi alla visione sunnita c'è il più forte ramo minoritario dell'Islam che è lo sciismo, il quale vede negli imam e negli ayatollah "la luce di Allah sulla terra" e quindi li legittima come discendenti diretti del Profeta, in attesa del dodicesimo e ultimo imam. Le basi della religione sono le stesse, idem i testi sacri. Le differenze, come spiegato bene qui, stanno soprattutto nella visione politica. Nel caso dei sunniti Stato e religione sono inseparabili, per gli sciiti sono indipendenti ma le autorità religiose conservano comunque una sorta di controllo sugli esponenti politici i quali devono cercare di rispettare quanto più possibile le linee guida dell'Islam.

Si tratta di una spiegazione di massima per provare a inquadrare a grandi linee le due correnti maggioritarie presenti oggi nell'Islam, il quale, tuttavia, continua ad avere al suo interno tantissime piccole correnti minoritarie.

La condanna degli attentati terroristici di Parigi è stata netta da parte di tutti i maggiori leader mondiali. La marcia parigina di domenica scorsa ha voluto sottolineare, qualora ce ne fosse stato bisogno, quanto ognuno di loro si senta vicino alla Francia in questi momenti terribili. Allo stesso tempo, però, questi ultimi continuano a sostenere in Siria le forze ribelli che vorrebbero rovesciare Assad, esponente sciita del partito Baath (arabo-socialista). Proprio all'interno delle forze ribelli si è affermata prepotentemente la branca fondamentalista che vorrebbe un regime fondato sulla Shari'a, ovvero la legge islamica.

La domanda a questo punto è: come si può sostenere un fondamentalismo in un caso (quello della Siria) e condannarlo in un altro? A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, diceva qualcuno di molto importante per la storia del nostro Paese. E quindi il sospetto che il problema religioso sia solo un paravento si fa sempre più forte. In gioco c'è il controllo di una regione strategica per tutto il Medio Oriente. Stati sunniti come l'Arabia Saudita non disdegnerebbero la presenza di un governo amico in quella zona. Dall'altra parte la minoranza sciita non vuole abbandonare un'area che fa da cuscinetto tra il Libano, sponda sul Mediterraneo, e le altre due forti concentrazioni sciite della Regione presenti in Iran e Iraq.

Ed ecco perché non bisogna cadere nella facile generalizzazione. Quando si parla di Islam non è mai tutto bianco o tutto nero. Tantissime autorità religiose islamiche hanno condannato gli attentati di Parigi, così come lo stesso ha fatto Nasrallah, leader di Hezbollah. Eppure sono musulmani anche loro. Seguono gli stessi precetti di base.

Ad esempio non si sono udite sommosse popolari per quanto accaduto in Arabia Saudita al blogger trentunenne Raif Badawi. L'uomo è stato condannato a 10 anni di galera e a subire 50 frustate pubbliche per 20 settimane. La causa? Aver offeso l'Islam su internet. Eppure le richieste formulate da Badawi andavano proprio verso quella modernizzazione tanto agognata dai Paesi occidentali. Ma nessuno dei nostri leader ha provato a collegare quanto accaduto a questo giovane uomo con i fatti di Parigi. Sarà perché l'Arabia Saudita è da sempre una Nazione che con l'Occidente ha intessuto rapporti economici fondamentali per entrambi? E quindi una ingerenza diretta in problematiche interne alla monarchia saudita avrebbe potuto scatenare tensioni che a nessuno avrebbero fatto comodo?

Due pesi e due misure, insomma. In nome della ragion di Stato. In fondo basta tornare indietro agli anni '80 per ritrovare ancora una volta gli Stati occidentali, Usa in primis, nel ruolo di finanziatori di quelle correnti islamiche più integraliste in funzione anti-socialista e anti-sovietica. Basti pensare alla guerra in Afghanistan degli anni '80 nella quale una repubblica di stampo marxista-leninista stava cercando di sradicare certi fondamentalismi religiosi presenti da tempo immemore per avviare una modernizzazione del Paese. Perché all'epoca le componenti fondamentaliste non vennero percepite come un pericolo per "l'occidente civilizzato"? Forse era avvertito maggiormente il pericolo "rosso"? Era un mondo molto diverso, figlio della logica dei blocchi contrapposti, le cui azioni, però, si ripercuotono ancora oggi, nel 2015.

Tante domande e ben poche risposte. E un ultimo quesito fondamentale: siete ancora sicuri che il problema sia solo ed esclusivamente religioso?

martedì 13 gennaio 2015

Noi fragili giornalisti

Appartengo a una delle categorie più bistrattate d'Italia, quella dei giornalisti. Stretta tra l'incudine della crisi dell'editoria e il martello di chi pensa che il lavoro intellettuale non debba essere pagato. Perché a scrivere siamo buoni tutti, basta avere un pc (o un tablet o uno smartphone), una connessione, qualcosa da dire. Poco importa se poi si scrivono castronerie, bufale, notizie non verificate, peggio ancora diffamatorie.

Scribo ergo sum. Restiamo aggrappati alla libertà di espressione sancita dall'Articolo 21 della Costituzione italiana, quello stesso sacrosanto diritto che ci fa dire #jesuischarlie ma che contemporaneamente permette a sconsiderati senza cervello di straparlare. Ultimo inquietante caso i commenti alla notizia della malattia di Emma Bonino, anche lei appartenente ad una casta, e per traslato per molti idioti meritevole di morire tra atroci dolori. Possa così espiare le sue colpe.

Siamo una casta. Abbiamo il potere di informare, di influenzare opinioni. Anche quando siamo pagati tre euro lordi a notizia. Perché tanto se non accetti di scrivere tu per quelle cifre lì, ci sarà sempre la fila di ragazzini alle prime armi pronte a farlo al posto tuo, pur di prendere l'agognato tesserino, pur di vedere la loro firma su un giornale, fosse anche il blog più scalcinato.

Il lavoro si paga, soprattutto quello intellettuale. Non di soli operai, artigiani e idraulici può sostenersi un Paese. I direttori e le grandi firme si fanno belli in tv, loro sì una casta che parla a vanvera di precariato, mentre migliaia di collaboratori sfruttati riempiono i loro giornali lavorando dalla mattina alla sera sette giorni su sette. E con i giornalisti anche tutti coloro che per mestiere lavorano nel campo della comunicazione e dell'editoria. Ultima ruota di un carro che senza di loro però sbanderebbe, finendo nel fossato.

Non abbiamo diritti, nei giornali non troverete mai la nostra voce, le nostre lamentazioni. Troverete solo quelle degli altri lavoratori, spesso sacrosante, cui facciamo da megafono. E mentre ne scriviamo, mentre vi raccontiamo, pensiamo a noi, che non possiamo pagare l'affitto, le bollette, che dipendiamo economicamente da qualcun altro, mamma e papà, o il nostro partner. Su di noi il silenzio, l'indifferenza. Veniamo tacciati di essere dei pennivendoli, schiavi degli editori. È vero, spesso è la realtà, ma sfido voi ad essere liberi di pensiero se prima non siete liberi di portafoglio. La dimensione romantica della professione è finita da decenni. Tante volte penso che siamo come quei ragazzi che lavorano nei call center, costretti a fregare la gente pur di portare a casa la pagnotta. Se ci ribelliamo ci ritroviamo con un pugno di mosche, non importa quanto bravi possiamo essere. E rischiamo che attorno ci sia fatta terra bruciata.

Il lavoro si paga, non siamo una casta. Ma all'esterno tanti pensano che noi lo siamo. Paghiamo lo scotto della nostra incapacità di fare capire che per scrivere, raccontare, informare, serve un filtro, che solo un professionista può fare. Non ci si improvvisa giornalisti o comunicatori, non si può fare affidamento solo sul proprio talento, per molti solo presunto, velleitario.

Mi stanno bene i blog. Adoro leggerli, scrivo sui blog dal 2006. Penso che molti blogger siano più in gamba di tanti sedicenti giornalisti. Il citizen journalism è una fonte inesauribile di notizie. Ma nel marasma della Rete girano troppe porcate non verificate, si dà spazio a tutti indiscriminatamente. Vige la logica del click, non della veridicità. La stessa formula l'abbiamo applicata a tv e carta stampata, la cui qualità scende di pari passo al dilettantismo dilagante.

Brutte notizie arrivano dalla mia amata Sicilia. Ecco così che il notiziario di Tgs, uno dei più visti dell'isola, mette in cassa integrazione dimezzata tecnici ed operatori, lasciando senza lavoro tredici persone, e taglia le collaborazioni ai giornalisti. Tutto affidato a un service esterno che confezionerà servizi a basso costo con un solo collaboratore. Rinunciare a figure professionali di alto profilo appare una logica sconclusionata figlia di un progetto editoriale che non esiste. Le alte sfere di via Lincoln probabilmente dovrebbero capire che è arrivato il momento di passare la mano a qualcun altro. Siamo nel 2015, un telegiornale solo “letto” senza servizi e con autoproduzioni di qualità mediocre è totalmente fuori dal mercato.

Ecco così che un assessore regionale si sente libero di cercare su facebook un addetto stampa “rigorosamente”, tiene a specificare, a titolo gratuito. Salvo poi scusarsi, cancellare il post e dire che era tutto uno scherzo. Spero scherzassero anche i colleghi, o aspiranti tali, che si erano già proposti al ruolo. Tutti pronti ad una vita spericolata certo. È senza dubbio spericolato lavorare anche sedici ore al giorno gratis (l'addetto stampa di un politico credo sia uno dei lavori più usuranti che ci siano, sei reperibile 24/7) e nonostante tutto riuscire a sbarcare il lunario.

Si fa presto a dire casta.

sabato 3 gennaio 2015

Ego me absolvo

Il nuovo anno è iniziato come era finito quello vecchio. Nel segno dell'odio. Rimango sempre stupito della violenza verbale che infesta la Rete. È successo che, dopo mesi di silenzio e di congetture, abbiamo saputo che fine abbiano fatto Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le due italiane rapite in Siria. Leggendo qua e là i commenti apparsi sui social network e sui forum di alcuni tra i maggiori quotidiani online nostrani ho provato disgusto. Lo stesso sperimentato nel corso degli anni in occasione del rapimento e l'uccisione di Fabrizio Quattrocchi e di Stefano Baldoni in Iraq, dei sequestri di Giuliana Sgrena, Simona Pari e Simona Torretta sempre in Iraq, e poi ancora l'omicidio di Vittorio Arrigoni in Palestina. Mi fermo qui, ma l'elenco potrebbe continuare.

Trivialità. Insulti. Giudizi tranciati con l'accetta. Per la gran parte dei lettori che hanno lasciato un commento, le due italiane meritano di essere abbandonate in mano ai loro rapitori, torturate, stuprate, vendute come schiave sessuali. Magari anche decapitate. Se la sono cercata, luride puttane. Come se l'era cercata Quattrocchi, il mercenario. O Baldoni, l'ingenuotto che si credeva un giornalista d'assalto.Tutti disprezzati e dileggiati, per motivi diversi.

Non siamo più un popolo civile. Preferiamo scannarci tra noi. Meglio ancora se sul web. Ne avevamo già scritto. L'ultima frontiera dell'autocompiacimento, il non luogo dove tutto ci è permesso. Dove se diffamiamo e calunniamo, minacciamo e ingiuriamo, crediamo di farla franca. Perché abbiamo l'illusione che il bersaglio dei nostri improperi non ci possa ammonire, correggere, se necessario denunciare alle forze dell'ordine. O, più semplicemente, perché non abbiamo di fronte nessuno che ci possa prendere a calci nel culo per le cazzate che scriviamo. Ci autoassolviamo. Tacciamo gli altri di buonismo smielato perché in una società competitiva come quella contemporanea fa figo essere bastardi. Come se il buonsenso fosse per forza una colpa. L'individualismo, la tutela degli interessi di bottega, ci hanno impoverito, non solo nel portafogli. Facciamo a pezzi quel poco di solidarietà civile che ci rimane (e che per certi versi ha sostenuto l'Italia nei decenni passati) e non capiamo che così facendo siamo sempre più abbandonati a noi stessi, in balia degli eventi e di chi decide per noi.

Siamo già schiavi.
Restiamo umani.